Uva e vino

Il Moscato

Moscato di Terracina

Il vitigno Moscato di Terracina si trova solo nel Lazio, dove è utilizzato non solo per la vinificazione ma anche come uva da tavola, è di bacca bianca e fortemente aromatico. Il Moscato di Terracina è molto simile al Moscato bianco, quello che a Pantelleria viene definito Zibibbo e in altre aree Moscato di Alessandria. Appartiene alla famiglia dei Moscati, vitigni aromatici il cui nome deriva dal latino muscum (muschio), il cui aroma caratteristico si ritrova nell’uva e che probabilmente corrisponde all’antico Anatheleikon Moschaton, originario del Medio Oriente e probabilmente giunto sulle coste del Mediterraneo attraverso l’Asia Minore da parte dei coloni greci. È un vitigno che si adattato a un terreno argilloso e sabbioso, tipico delle zone di Terracina, e il cui nome trae origine dal termine muscum, in latino muschio, di cui ne ricorda il profumo.

Il vitigno come lo conosciamo oggi, invece, corrisponde al vitigno francese Muscat à petit grains: il termine francese musqué viene correttamente tradotto come aromatico. La zona di sua coltivazione coincide con la DOC Terracina, situata sulla parte costiera della pianura pontina. Il Moscato di Terracina ha un grappolo di forma piramidale, presenta bacca bianca, grande e sferica con buccia cerosa, di colore giallo-verde. Essendo un vitigno aromatico e versatile, si presta per produrre vini in diversi stili, dal secco fermo allo spumante fino alla versione passito. L’aroma invece spazia dalla frutta matura al miele, con accenni ammandorlati ma anche iodati in virtù della grande vicinanza al mare. Al palato risulta sapido, aromatico e fruttato.

La raccolta avviene di solito nella prima decade di ottobre. Il Moscato di Terracina è un vino che può accompagnare tutto il pasto, dall’aperitivo fino al dessert. Il secco è ottimo come aperitivo, la versione amabile si sposa perfettamente con i classici dolci a pasta lievitata quali panettone, pandoro, colomba o brioche, mentre la versione dolce da uve passite è particolarmente indicata ad accompagnare la biscotteria secca quali la pasticceria con mandorle. La gradazione del Moscato di Terracina è circa 11,5 gradi e il giusto tempo di invecchiamento, passato il quale è consigliabile consumare il vino, è di circa 18-24 mesi. La prima registrazione del marchio in assoluto risale al 1971, ma è solo nel 2007 che il Moscato di Terracina vanta la denominazione DOC (Denominazione di Origine Controllata).

Il Bellone

Il Bellone (Cacchione)

L’area vinicola del Cori DOC è una zona circoscritta tra i Monti Lepini e la pianura pontina. I vigneti in questa zona sono posti nella zona pedemontana, collinare e dolce, con un territorio di rocce costituite da calcari e dolomie, formatosi durante il periodo mesozoico, quando l’area era il fondo di un mare poco profondo e tropicale. Il lento ma continuo depositarsi di conchiglie, spugne, coralli, i cui scheletri contenevano molto calcio, ha permesso una stratificazione compatta del carbonato di calcio.

Il terreno si è successivamente modificato, per via dei cambiamenti ambientali di sabbie e argille, mentre il terreno resta interessato dal fenomeno carsico, con i corsi d’acqua sotterranei formati dall’acidità delle piogge che vanno a bagnare la vite. Il Bellone, o Cacchione, è un vitigno a bacca bianca tipico della zona compresa tra Aprilia, Cori, Anzio e Nettuno. Il Bellone è presente qui dall’epoca romana come testimoniato da Plinio Il Vecchio che lo descriveva come tutto sugo e mosto nel “Naturalis Historiae“ ma lo ricorda anche Andrea Bacci nella “De naturali vinorum historia“. Il vitigno è noto anche sotto il nome di Cacchione o Uva Pane; ha grandi grappoli, a volte medi, di forma cilindrica e serrati; gli acini sono grandi e tondi, con le bucce spesse. Il terreno per delle rese migliori deve essere fertile e vulcanico, fresco e asciutto. Vendemmiato a ottobre, contiene molto zucchero.

I suoi vini in purezza sono molto strutturati, colorati, con un buon aroma fruttato e maturo. Si accompagna con la cucina tipica laziale, speziata alle erbe, con zuppe e verdure, ma anche con pesci di lago. La gradazione raggiunge i 12,5% – 13% a secondo dell’annata.

Il Nero buono

Nero buono di Cori

Il vitigno Nero buono è un vitigno autoctono laziale, coltivato quasi esclusivamente nel perimetro del territorio del comune di Cori, tant’è che è noto propriamente come Nero Buono di Cori. Il vitigno ha attecchito bene sul terreno collinare di origine vulcanica dei monti Lepini, traendo beneficio del suo particolare microclima, avvantaggiandosi dalle correnti d’aria che riducono il rischio di peronospora.

Il Nero buono è un vitigno ricco di antociani, particolarmente scuro, tant’è che viene talvolta usato come uva colorante negli uvaggi per dare maggiore tonalità al colore del vino. Però, da parecchi anni ormai Il vino Nero buono viene prodotto e gustato in purezza, caratterizzandosi per le sue note di frutti di sottobosco, al palato risulta avvolgente, di buon corpo, con una vivace acidità. Quando il vino viene passato in barrique acquisisce note speziate, ammorbidendo ancor più i tannini che sono già naturalmente vellutati. Un Se l’invecchiamento perdura ecco che all’olfatto non sfuggono note di liquirizia e cacao. Presenta un grappolo molto compatto, con acini di dimensione media e sferoidali, la buccia si presenta pruinosa e spessa, mentre il colore è rosso scuro tendente al violetto.

Il colore del vino è rosso rubino, al palato è caldo. Il vino Cori DOC Nero buono è una delle tipologie di vino previste dalla denominazione Cori DOC, una DOC della regione. Il naturale abbinamento è con secondi a base di carne e primi piatti dal gusto deciso. La gradazione del Nero Buono di Cori è 13°.

Il Cecubo

Cecubo

Strappato dall’oblio è il vino Cecubo, un vitigno la cui identità si era smarrita, rivitalizzato nelle sue aree di produzione, come era conosciuto dai tempi dei Romani, tra Fondi, Itri, Terracina, Sperlonga e Formia. I vitigni sono stati recuperati tra boschi di sughere e uliveti, sferzati dal vento che proviene dal Tirreno. Poeti come Orazio, Plinio il Vecchio e Columella hanno raccontato le qualità di quel vino dell’Ager Caecubum, identificando la sua collocazione proprio tra il centro e sud della provincia pontina, in un periodo compreso tra la Roma repubblicana e l’età imperiale. Le sue origini sono antichissime, tanto che il poeta Orazio lo cita per invitare gli amici a festeggiare, danzare e a bere in occasione della morte di Cleopatra. Plinio in particolare elogia quello prodotto ad Amyclae, antica città prossima a Sperlonga, poiché qui le viti crescevano in un terreno palustre e venivano sposate ai pioppi.

Il nome Cecubo deriva da caecus (cieco), unito a bibere (bere), termini che fusi indicano il bere del cieco, cioè la bevanda preferita da Appio Claudio Cieco, il costruttore dell’Appia, l’antica strada che congiungeva Roma a Brindisi. Il vino era particolarmente apprezzato tant’è che era definito merum, cioè vino puro, e non mulsum, vino addizionato con miele o spezie, come spesso si usava. La parte più difficile per produrre il Cecubo è stata quella di recuperare gli antichi vitigni andati perduti, cioè l’abbuoto e il serpe.

L’abbuoto è un vitigno originario delle campagne di Fondi, a bacca rossa, è caratterizzato da un grappolo medio-grande, con acini dotati di buccia spessa e pruinosa di colore nero violaceo. Se ne ricava un vino di medio invecchiamento con gradazione alcolica tra i 13° e i 14°, di colore rosso amaranto, di buon corpo che tende a perdere colore con l’invecchiamento diventando rosato. Il serpe è un vitigno originario delle campagne itrane; l’uva serpe produce un vino corposo, rosso, intenso, con una nota amara e dolce insieme, un vino che tinge il pavimento con macchie indelebili, come ricorda Orazio. L’origine del nome uva serpe lo ricorda Columella, quando indica un’uva da cui si ricavava un vino robusto prodotto da un vitigno chiamato Dracontion, che, in greco, significa serpente.

Circeo DOC

Circeo DOC

Nel tempo la zona del Circeo si è ricavato uno spazio di assoluto rilievo nel mondo dei vini, tant’è che nel 1996 ha ricevuto l’etichetta Doc. Oggi la zona geografica della Circeo DOC ricade nella parte litoranea centromeridionale della provincia pontina, coprendo circa 17.500 ettari, che comprende i territori di Latina, Sabaudia, San Felice Circeo e Terracina. I vitigni idonei alla produzione dei vini Circeo DOC sono quelli tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: il Trebbiano toscano e la Malvasia del Lazio per i vini bianchi e il Merlot ed il Sangiovese per rossi e rosati. Il Circeo bianco è un vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino più o meno intenso, dall’odore fragrante, armonico e fruttato, sapore secco, fresco e armonico. Accompagna piatti a base di pesce e frutti di mare e carni bianche.

Il Circeo rosso possiede buona struttura e presenza di buone dotazioni di polifenoli, che conferiscono al vino carattere di pienezza di corpo e assenza di ruvidezza; il colore è rosso rubino più o meno intenso, odore intenso e caratteristico, sapore asciutto, pieno, armonico, di giusto corpo. Ottimo con piatti a base di carne, arrosti, grigliate e formaggi a breve stagionatura. C’è anche il Circeo rosato, un vino fresco e vivace, con riflessi violacei, odore fine e gradevole, sapore seco o amabile, armonico, delicato e vellutato. Al sapore tutti i vini presentano un’acidità normale, un amaro poco percepibile, poca astringenza e buona struttura, che contribuiscono al loro equilibrio gustativo.

Per quanto riguarda le composizioni dei vitigni del Circeo bianco secco, frizzante e spumante sono le seguenti: Trebbiano Toscano non meno del 55%; Chardonnay fino a un massimo del 30%; Malvasia del Lazio fino a un massimo del 30%; altri vitigni a bacca bianca idonei per la coltivazione per la Regione Lazio, sino a un massimo del 15%. Per quanto attiene la composizione del Circeo rosso, rosato secco anche nei tipi novello o frizzante: Merlot non meno del 55%; Sangiovese fino al 30%; Cabernet Sauvignon fino al 30%. Altri vitigni a bacca rossa idonei per la coltivazione per la Regione Lazio, sino a un massimo del 15%.