Carne e salumi
Bufala pontina
Carne di bufala pontina
Forse non tutti sanno che le bufale sono presenti nell’Agro pontino da centinaia di anni prima della bonifica, nella specie della Bufala mediterranea italiana. Infatti, le prime tracce storiche del bufalo risalgono al Medioevo, una testimonianza ricavata da una bolla papale che imponeva alla famiglia Caetani l’allevamento esclusivo delle bufale nei loro territori. Per ricavarne latticini freschi inimitabili, ma anche per apprezzarne la carne, sebbene il consumo di quest’ultima è più recente, attorno agli anni del Dopoguerra. Infatti è un animale risalente all’epoca romana, dallo zoccolo largo e dalla muscolatura possente, impiegato per la lavorazione dei terreni acquitrinosi prima ancora della bonifica delle Paludi Pontine.
La carne di bufala pontina rientra nei PAT, cioè nei Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Ha delle caratteristiche che la rendono inimitabile al palato, poiché essa si caratterizza per una notevole tenerezza, legata alla presenza della idrossiprolina, ha poi una maggiore succosità, ha un colore rosso vivo (determinato per la maggiore quantità di ferro rispetto alle altre carni), ha una minore presenza di grasso d’infiltrazione mentre possiede una notevole quantità di grasso di copertura, che si separa con grande facilità dal tessuto magro. Infatti, il bufalo, rispetto alle altre specie, deposita il grasso al di fuori del tessuto muscolare ma non all’interno del muscolo, tant’è che nella sua carne c’è una minore concentrazione di lipidi. Recenti studi chimici hanno messo a confronto la carne di bufala con la carne bovina (razza Marchigiana): ne è scaturito che la carne di bufala pontina possiede un contenuto proteico di circa 22%, umidità 76%, ceneri 1,37% e contenuto lipidico di circa 1,4 %, notevolmente inferiore rispetto al tenore lipidico della carne bovina pari a 2,4%.
La zona territoriale in cui vengono allevati i bufali è compresa tra Sabaudia, Pontinia e Priverno. Una ricetta che si tramanda da tempo immemore è lo stufato di bufaletta, tipico però della cucina privernate, vale a dire uno spezzatino di carne di bufalo composta da spalla di annutolo, spuntatura e rollé, cucinata con carote, sedano, carciofi e funghi porcini.
La carne di bufala pontina rientra nei PAT, cioè nei Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Ha delle caratteristiche che la rendono inimitabile al palato, poiché essa si caratterizza per una notevole tenerezza, legata alla presenza della idrossiprolina, ha poi una maggiore succosità, ha un colore rosso vivo (determinato per la maggiore quantità di ferro rispetto alle altre carni), ha una minore presenza di grasso d’infiltrazione mentre possiede una notevole quantità di grasso di copertura, che si separa con grande facilità dal tessuto magro. Infatti, il bufalo, rispetto alle altre specie, deposita il grasso al di fuori del tessuto muscolare ma non all’interno del muscolo, tant’è che nella sua carne c’è una minore concentrazione di lipidi. Recenti studi chimici hanno messo a confronto la carne di bufala con la carne bovina (razza Marchigiana): ne è scaturito che la carne di bufala pontina possiede un contenuto proteico di circa 22%, umidità 76%, ceneri 1,37% e contenuto lipidico di circa 1,4 %, notevolmente inferiore rispetto al tenore lipidico della carne bovina pari a 2,4%.
La zona territoriale in cui vengono allevati i bufali è compresa tra Sabaudia, Pontinia e Priverno. Una ricetta che si tramanda da tempo immemore è lo stufato di bufaletta, tipico però della cucina privernate, vale a dire uno spezzatino di carne di bufalo composta da spalla di annutolo, spuntatura e rollé, cucinata con carote, sedano, carciofi e funghi porcini.
Bresaola
Bresaola di bufala
Dai tagli pregiati della carne di bufala, come lombata e girello dell’esemplare maschio, si ricava la bresaola di bufala, anch’essa riconosciuta nella famiglia dei PAT, Prodotti Agroalimentari Tradizionali. La bresaola di bufala è un salume magro, stagionato per 20-40 giorni, ha un acceso colore rosso, sprigiona forti sentori aromatici, anche perché conservata attraverso la tecnica della marinatura sottovuoto, praticata prima della stagionatura vera e propria, a base di sale, peperoncino, aglio, ginepro, rosmarino e alloro.
La marinatura, che serve per intenerire e insaporire la carne ma anche per evitare processi di ossidazione del tessuto muscolare, ha una durata di 21-28 giorni. Terminata la marinatura, la bresaola viene tolta dal sottovuoto, fatta sgocciolare e collocata nella cella di asciugatura a una temperatura iniziale di 22°C che poi scende fino ai 12-14 °C, con un’umidità di circa 80%. L’asciugatura ha una durata di 20-40 giorni e avviene anche con il fumo naturale (affumicatura) sprigionato da legni non resinosi, conferendone il profumo e il sapore dell’affumicatura.
La marinatura, che serve per intenerire e insaporire la carne ma anche per evitare processi di ossidazione del tessuto muscolare, ha una durata di 21-28 giorni. Terminata la marinatura, la bresaola viene tolta dal sottovuoto, fatta sgocciolare e collocata nella cella di asciugatura a una temperatura iniziale di 22°C che poi scende fino ai 12-14 °C, con un’umidità di circa 80%. L’asciugatura ha una durata di 20-40 giorni e avviene anche con il fumo naturale (affumicatura) sprigionato da legni non resinosi, conferendone il profumo e il sapore dell’affumicatura.
Carpaccio
Carpaccio di bufala
Il carpaccio di bufala rientra nella famiglia dei PAT, cioè nei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, e come la bresaola si ricava dai tagli pregiati, come lombata e girello. È una carne poco essiccata, molto magra e decisamente tenera, particolarmente aromatica, fresca e profumata, grazie alla tecnica della marinatura sottovuoto a base di sale, peperoncino, aglio, ginepro, rosmarino e alloro. La marinatura, che serve per intenerire e insaporire la carne ma anche ad evitare processi di ossidazione del tessuto muscolare, ha una durata che varia tra le tre e le quattro settimane.
Inoltre, nel caso di una asciugatura con il fumo naturale (affumicatura) il carpaccio di bufala acquista un leggero e gradevole profumo e sapore di affumicato. Una volta finita la fase della marinatura, il carpaccio viene tolto dal sottovuoto, fatto sgocciolare e posto ad asciugare in cella di asciugatura, a una temperatura di 22°C che poi scende fino ai a 12-14 °C e con un’umidità relativa di circa il 78%. L’asciugatura ha una durata di 20-25 giorni e avviene anche col fumo naturale – attraverso il metodo dell’affumicatura – con l’impiego di legni non resinosi, conferendo alla carne un profumo e sapore caratteristico.
Inoltre, nel caso di una asciugatura con il fumo naturale (affumicatura) il carpaccio di bufala acquista un leggero e gradevole profumo e sapore di affumicato. Una volta finita la fase della marinatura, il carpaccio viene tolto dal sottovuoto, fatto sgocciolare e posto ad asciugare in cella di asciugatura, a una temperatura di 22°C che poi scende fino ai a 12-14 °C e con un’umidità relativa di circa il 78%. L’asciugatura ha una durata di 20-25 giorni e avviene anche col fumo naturale – attraverso il metodo dell’affumicatura – con l’impiego di legni non resinosi, conferendo alla carne un profumo e sapore caratteristico.
Salsiccia MSB
Salsiccia di Monte San Biagio
La salsiccia di Monte San Biagio è un prodotto DOP di alto livello qualitativo, dal gusto deciso e di antichissima tradizione. Infatti, la preparazione della salsiccia monticelliana affonda le sue origini nel VI secolo, quando nei territori di Monte San Biagio, che rimasero per lungo tempo territorio franco, si insediò una comunità longobarda dedita all’allevamento di maiali e alla produzione di salsicce essiccate, che all’epoca fungeva da classico approvvigionamento durante gli spostamenti. I longobardi presero a utilizzare nella lavorazione le spezie della zona, come il coriandolo (detto in dialetto petarda), utilizzando per l’essiccazione i pagliai, i cui ruderi sono ancora oggi visibili nelle sugherete di San Vito, testimonianze che trovano riscontro nell’archivio comunale del piccolo centro aurunco. Fondamentale è rimasto il tradizionale allevamento dei suini, alimentati coi prodotti naturali della zona (come le ghiande), mentre per produrre l’insaccato si utilizzano tutte le parti più magre del maiale, col grasso che non supera il 25%, ad esclusione delle interiora, la testa e le zampe.
La qualità della carne di maiale utilizzata è particolarmente magra, perché i suini sono allevati allo stato brado e semibrado, scorrazzando per le sugherete del territorio. La qualità di suini è quella bianca locale e suino nero, come il Lepino e il Casertano, il cui peso supera però i 160 kg. Nel corso del tempo la salsiccia monticelliana ha mantenuto un colore rosso intenso e un sapore deciso, dalle note speziate e dal retrogusto affumicato. Infatti, la carne ancora oggi è rigorosamente tagliata a mano in piccoli cubi irregolari e condita con sale, peperoncino piccante, pepe rosso dolce, vino moscato di Terracina e semi di coriandolo. La caratteristica sono proprio i semi di coriandolo, debitamente abbrustoliti nel forno, a fornire il caratteristico sapore aromatico; è vero che è una spezia dal sapore deciso ma è anche vero che oltre a essere utilizzato come condimento il coriandolo ha grandi proprietà antibatteriche naturali, quindi particolarmente adatto per essere utilizzato nel conservare le carni ed evitarne così la putrefazione. La carne condita viene messa a riposare in recipienti di legno (detti manielle) per almeno 12 ore, dopo di che viene riposta in budelli di maiale e legata con fili vegetali nella classica forma a catena. Poi, le salsicce vengono appese a canne di bambù e lasciate nei pagliai, fatti con pietra e stramma (cioè gli steli ricavati dai cariceti e altri piccoli arbusti, particolarmente resistenti, della macchia mediterranea e delle zone paludose).
Dopo aver riposato 48 ore, le salsicce vengono lasciate affumicare per almeno venti giorni, un fumo ricavato dal legno di mirto e di lentisco, conferendo agli insaccati un aroma tipico. A questo punto la salsiccia di Monte San Biagio è pronta per essere servita, anche se può essere conservata sott’olio extravergine di oliva o immersa in strutto di maiale. Per tramandare questa antichissima tradizione e tutelare questo patrimonio tipico, nel 2003 è nato il Consorzio Salsiccia di Monte San Biagio, sì per valorizzarla ma anche per vigilare affinché i prodotti realizzati siano in linea con gli alti standard qualitativi, al punto che nel 2008 la salsiccia è divenuta un prodotto DOP. Va ricordato che la carne di suino è una valida fonte di sostanze nutritive per una dieta sana e bilanciata; numerosi studi scientifici ne hanno dimostrato l’ottima qualità delle proteine (ferro e zinco) e l’elevato contenuto di vitamine e sali minerali. Amminoacidi essenziali e ramificati, creatina e vitamine del gruppo B, in particolare la preziosa B12, rendono la carne suina un integratore naturale per il recupero da sforzi intensi. Si aggiunga, poi, l’alta digeribilità della carne suina.
La qualità della carne di maiale utilizzata è particolarmente magra, perché i suini sono allevati allo stato brado e semibrado, scorrazzando per le sugherete del territorio. La qualità di suini è quella bianca locale e suino nero, come il Lepino e il Casertano, il cui peso supera però i 160 kg. Nel corso del tempo la salsiccia monticelliana ha mantenuto un colore rosso intenso e un sapore deciso, dalle note speziate e dal retrogusto affumicato. Infatti, la carne ancora oggi è rigorosamente tagliata a mano in piccoli cubi irregolari e condita con sale, peperoncino piccante, pepe rosso dolce, vino moscato di Terracina e semi di coriandolo. La caratteristica sono proprio i semi di coriandolo, debitamente abbrustoliti nel forno, a fornire il caratteristico sapore aromatico; è vero che è una spezia dal sapore deciso ma è anche vero che oltre a essere utilizzato come condimento il coriandolo ha grandi proprietà antibatteriche naturali, quindi particolarmente adatto per essere utilizzato nel conservare le carni ed evitarne così la putrefazione. La carne condita viene messa a riposare in recipienti di legno (detti manielle) per almeno 12 ore, dopo di che viene riposta in budelli di maiale e legata con fili vegetali nella classica forma a catena. Poi, le salsicce vengono appese a canne di bambù e lasciate nei pagliai, fatti con pietra e stramma (cioè gli steli ricavati dai cariceti e altri piccoli arbusti, particolarmente resistenti, della macchia mediterranea e delle zone paludose).
Dopo aver riposato 48 ore, le salsicce vengono lasciate affumicare per almeno venti giorni, un fumo ricavato dal legno di mirto e di lentisco, conferendo agli insaccati un aroma tipico. A questo punto la salsiccia di Monte San Biagio è pronta per essere servita, anche se può essere conservata sott’olio extravergine di oliva o immersa in strutto di maiale. Per tramandare questa antichissima tradizione e tutelare questo patrimonio tipico, nel 2003 è nato il Consorzio Salsiccia di Monte San Biagio, sì per valorizzarla ma anche per vigilare affinché i prodotti realizzati siano in linea con gli alti standard qualitativi, al punto che nel 2008 la salsiccia è divenuta un prodotto DOP. Va ricordato che la carne di suino è una valida fonte di sostanze nutritive per una dieta sana e bilanciata; numerosi studi scientifici ne hanno dimostrato l’ottima qualità delle proteine (ferro e zinco) e l’elevato contenuto di vitamine e sali minerali. Amminoacidi essenziali e ramificati, creatina e vitamine del gruppo B, in particolare la preziosa B12, rendono la carne suina un integratore naturale per il recupero da sforzi intensi. Si aggiunga, poi, l’alta digeribilità della carne suina.
Prosciutto
Prosciutto di Bassiano
Il prosciutto di Bassiano è una varietà di prosciutto crudo italiano tradizionale prodotto a Bassiano, caratterizzato da un sapore salato e leggermente affumicato, inimitabile e unico, tanto che la Regione Lazio lo ha inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali. La caratteristica di questo prosciutto è però la stagionatura, singolare proprio per le caratteristiche fisiche del territorio e che avviene in condizioni naturali: infatti, i venti freddi di tramontana provenienti dai Monti Lepini si incontrano col clima umido dell’Agro Pontino, generando correnti d’aria continue. Quindi un’aria fresca ma asciutta, arricchita dagli aromi dei boschi di faggio e protetta dall’umidità del mare. Ma segue un criterio tradizionale la preparazione del prosciutto di Bassiano: la coscia del maiale, con un peso medio superiore ai 13 kg, viene rifilata a punta di coltello dalla cotenna fino al gambo, lasciando così scoperta un’ampia porzione. Poi, la carne viene bagnata con una salsa composta da vino bianco locale, aglio e pepe, per poi essere sottoposta a una doppia salatura manuale. Durante questa fase, fatta unicamente a mano, viene coperta la parte scoperta del prosciutto con un sottile strato di sugna (cioè un impasto di puro grasso suino, sale, peperoncino e farina di riso), che svolge varie funzioni: infatti, protegge dagli agenti esterni, contrasta il disseccamento della carne, mantenendola morbida cosicché l’aria può continuare a filtrare e a completare il procedimento della stagionatura fino all’interno della coscia.
Dopo 6 mesi il prosciutto viene lavato, sottoposto alla sugnatura (cioè spalmato di strutto, sale e peperoncino) e appeso per la prima stagionatura; poi, quest’operazione viene ripetuta al decimo mese, per poi procedere alla seconda stagionatura. Alla fine, ecco il lavaggio con getto d’acqua, una breve affumicatura (o stufatura) in un apposito locale riscaldato con legna di faggio. E da qui continua la fase della stagionatura, variabile tra i 12 e i 13 mesi. Il prodotto finale, del peso di circa 8-10 kg a stagionatura ultimata, è caratterizzato da una particolare forma, con un colore rosso intenso e uno spiccato sapore salato. La tradizione del prosciutto di Bassiano si fa risalire a un salumiere modenese, Astro Reggiani, che nel Dopoguerra scelse il centro lepino per viverci; rendendosi conto che il clima particolare avrebbe potuto creare una stagionatura singolare cominciò a sperimentarla con i prosciutti.
La carne utilizzata è quella di suino bianco e suino nero, anche se di recente è cresciuta la cura per l’allevamento di suino nero allo stato brado, che si alimenta con prodotti del bosco, un autentico ritorno all’antica tradizione italica, dato che la grande importazione di maiali inglesi, qualità large white (particolarmente adattabili e fertilissimi), avvenne nella seconda metà del 1800, soppiantando la Sus scrofa mediterraneus, vale a dire l’antenato di tutti i suini domestici del bacino del Mediterraneo, come la Cinta Senese, la Mora romagnola, il Nero dei Nebrodi, il Nero lucano, il Nero casertano, il Nero dei monti Lepini.
Dopo 6 mesi il prosciutto viene lavato, sottoposto alla sugnatura (cioè spalmato di strutto, sale e peperoncino) e appeso per la prima stagionatura; poi, quest’operazione viene ripetuta al decimo mese, per poi procedere alla seconda stagionatura. Alla fine, ecco il lavaggio con getto d’acqua, una breve affumicatura (o stufatura) in un apposito locale riscaldato con legna di faggio. E da qui continua la fase della stagionatura, variabile tra i 12 e i 13 mesi. Il prodotto finale, del peso di circa 8-10 kg a stagionatura ultimata, è caratterizzato da una particolare forma, con un colore rosso intenso e uno spiccato sapore salato. La tradizione del prosciutto di Bassiano si fa risalire a un salumiere modenese, Astro Reggiani, che nel Dopoguerra scelse il centro lepino per viverci; rendendosi conto che il clima particolare avrebbe potuto creare una stagionatura singolare cominciò a sperimentarla con i prosciutti.
La carne utilizzata è quella di suino bianco e suino nero, anche se di recente è cresciuta la cura per l’allevamento di suino nero allo stato brado, che si alimenta con prodotti del bosco, un autentico ritorno all’antica tradizione italica, dato che la grande importazione di maiali inglesi, qualità large white (particolarmente adattabili e fertilissimi), avvenne nella seconda metà del 1800, soppiantando la Sus scrofa mediterraneus, vale a dire l’antenato di tutti i suini domestici del bacino del Mediterraneo, come la Cinta Senese, la Mora romagnola, il Nero dei Nebrodi, il Nero lucano, il Nero casertano, il Nero dei monti Lepini.