Le bontà della tavola pontina

Tavola pontina

Le bontà della tavola pontina

Forse la qualità riscontrata nel settore agricolo del territorio pontino è dovuta alla particolare complessità culturale, le cui influenze hanno diviso la provincia, con la tradizione romano-laziale nella sua parte settentrionale, la cultura di derivazione campano-napoletana in quella meridionale e quella assolutamente composita creatasi dagli Anni Trenta durante la bonifica idraulica delle Paludi Pontine e sviluppatosi successivamente nel Dopoguerra assorbendo altri metodi e culture, come quelle nordafricane, soprattutto tunisine e libiche, per via delle lotte di decolonizzazione. Così, le tradizioni autoctone si sono fuse nel corso del tempo con le influenze provenienti dal Veneto, dall’Emilia-Romagna, dal Friuli, dall’Abruzzo, dalle Marche a nord; dai centri della collina laziale e sub-romana, dalla Campania, dalla Sicilia, dalla Calabria tanto a nord che a sud; dalla Cina, dall’India, da Paesi maghrebini. Una piccola globalizzazione che ha saputo mantenere salde le sue radici, però sperimentando e aprendosi a culture e colture differenti, arricchendo non solo il tessuto sociale ma anche quello agricolo.

Così se il sedano bianco di Sperlonga ha una sua storia remota al pari della lavorazione del latte di bufala, ecco che le radici della fragola favetta deve la sua esplosione a una precisa volontà di un’azienda francese che scovò nella terra pontina un habitat fertile, ancora ecco che la coltivazione dell’uva ha raggiunto picchi d’eccellenza con l’esperienza portata dai contadini espulsi dai leader arabi Gheddafi e Bourghibba, oppure ecco la recentissima affermazione del cavolo cinese, o pak-choi, che viene prodotto nel triangolo d’oro delle campagne di Sabaudia, Terracina e San Felice Circeo e che viene immesso in grandi quantità sul mercato europeo. Sorvolando sulla storia, sul consenso e sulla qualità del kiwi, il territorio pontino conferma con esempi eclatanti la sua straordinaria adattabilità, offrendo l’habitat ideale quasi a ogni pianta, producendo nello scorrere delle lancette prodotti che si fregeranno del marchio di qualità.

Così, per rendere più agevole la consultazione e la diffusione delle tipicità enogastronomiche del territorio pontino le abbiamo catalogate per comparti, che abbracciano frutta, ortaggi, uva e vino, carne e salumi, latticini, pesce, olive e olio, miele; più una sezione dedicata allo spreco alimentare.

Tavola pontina

Il fatturato dell’alimentare italiano è cresciuto a valore, grazie sia al traino dell’estero sia del mercato interno. Al di là degli innumerevoli tentativi di imitazione (e frode) l’Italia riveste un ruolo importante a livello di agroalimentare europeo: è terza per valore aggiunto e numero di occupati dopo Francia e Germania, ma detiene il primo posto per qualità e ricchezza della produzione con 294 certificazioni (DOP, IGP e STG) nel comparto agricolo e alimentare. Il Lazio, scendendo nello specifico, e la provincia di Latina, declinando nel microcosmo del nostro focus, vantano prodotti tipici enogastronomici di grande qualità. Escludendo Roma, il peso specifico del settore sull’economia regionale per valore aggiunto e per numero di occupati sono ben al di sopra della media italiana. Non solo, il Lazio è la nona regione italiana per superficie agricola utilizzata, c’è un forte orientamento al biologico e una crescente domanda dall’estero per importare questo food di così alta qualità.

Il settore agro-alimentare nell’Agro Pontino abbraccia circa il 40% delle esportazioni agroalimentari del Lazio. Di grande tradizione è il comparto dell’ortofrutta, valorizzata da un microclima che ha permesso nel tempo anche di far attecchire coltivazioni lontane, tant’è che oggi a Latina si produce circa un terzo dei kiwi prodotti in Italia, mentre il comparto alimentare è trainato dall’olio d’oliva (DOP Colline Pontine).